
La duplice funzione dell’abbigliamento: distinguersi dagli altri o, al contrario, uniformarsi e mimetizzarsi con la massa. Questa duplice funzione la ritroviamo anche nelle divise degli eserciti militari.
All’inizio del XX secolo le uniformi erano molto colorate per riconoscere i vari reggimenti impegnati nella lotta e avere un quadro generale del tutto.
Agli albori della Prima Guerra Mondiale l’esercito francese si presentava in divise color rosso-blu, mentre l’esercito britannico in divise color kaki.
Con quella che è considerata la prima guerra moderna si cominciò a pensare ad uniformi in grado di nascondere i soldati all’occhio umano.
I primi a fare studi del genere furono proprio i francesi nel 1915, grazie ad un pittore-soldato di nome Louis Guingot.
Nacque così la prima divisa camouflage (nome tutt’oggi francese) della storia.
Nel tempo sono state ideate molto varianti di camuffamento, dovuto all’ambiente circostante (foresta, praterie, deserti o giungle), alle esigenze del momento e anche alla stagione.
Ad esempio esistono uniformi militari concepite unicamente per la stagione invernale: nella seconda guerra mondiale le Waffen-SS (braccio militare delle SS) disponevano di una divisa double face estiva-autunnale con la possibilità di aggiungervi una mimetica invernale.
La Germania fu particolarmente attiva nello studio di pattern mimetici: il professor Georg Otto Shick combinando elementi micro e macro ideò uno dei camouflage ad oggi più copiati al mondo, il famoso Flencktarn a sei colori.
Produrre divise con un tessuto a sei colori, con una trama fitta tanto da essere idrorepellente era costosissimo ed infatti ne furono prodotte solo un numero limitato.
Ad oggi le giacche originali SS Flecktarn raggiungono quotazioni record nelle aste, tanto che si è sviluppato un vero e proprio mercato dei falsi.
Un altro pattern tedesco famoso del tempo è il Splittermuster, caratterizzato da elementi cubici coperti da lineette scure, che compare anche in alcune scene de “Bastardi senza gloria” di Tarantino.
Curiosità, nelle fasi finale del conflitto, l’esercito personale di Hitler indossava un camouflage italiano, dovuto alla confisca da parte dei tedeschi di molti teli mimetici italiani.
Pattern camouflage hanno sfondato nell’abbigliamento quotidiano a fine anni ’60, quando i movimenti giovanili di protesta si vestivano nel surplus militari.
Non era difficili vedere dei ragazzi in pantaloni cargo camo, uno dei capi più diffusi in tema mimetico.
Spesso, tutt’oggi, sono in tessuto rip-stop, un cotone leggero anti-strappo, una tecnica usata inizialmente per le tele da paracadute.
Nello streetwear anni ’90 i pattern mimetici esplodono in pieno.
Maharishi, brand inglese fondato nel 1994 ha fatto del camouflage il suo tratto distintivo.
Un anno prima Nigo, un dj-producer giapponese nonchè socio in affari con un certo Pharrell Williams, fonda Bape (abbreviazione di A Bathing Ape) che adotta per le sue collezioni un particolare camouflage ispirato al già citato Flencktarn.
Fra le mille opzioni di fantasie e capi concedeteci di averne uno prediletto: il pantalone cargo in tigerstripe camo, una particolare fantasia usata nella fitta foresta nel sud del Vietnam dai marine americani.
Sapete, occorre specificare anche in questo caso: di tigerstripe camouflage ne sono stati contati “solo” 19 tipologie diverse.
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